
Di fare riferimenti bibliografici certosini frega cazzi,sia chiaro. Comunque capita di affastellare riflessioni intorno a testi scritti da storici olandesi con uno spiccato temperamento artistico e romanzieri americani con sopite velleità saggistiche. Detto questo parlare di morte ormai appare relativamente semplice. Anche perché nella maggior parte dei casi si disquisisce sulla Morte, quella con la M maiuscola, ma si evita accuratamente qualsiasi riferimento al morto; si fanno i conti senza l'oste insomma. Perché questa rimozione del macabro?Eppure il macabro riconduce immediatamente all'essenza del rapporto emotivo che si instaura con la carne muta che giace immobile di fronte a chi osserva: il senso di laido terrore che deriva dal realizzare quanto essa sia la rappresentazione allegorica, l'icona di ciò che presto, inesorabilmente, prenderà anche le sembianze di chi assiste. L'empatia rispetto all'attuazione della sorte altrui che poi è di chiunque, è ingiustificata in mancanza di un legame affettivo, o, quantomeno, qualcosa di secondario. C'è molto di inspiegato in questa sempre più vertiginosa, rapida deriva irenica in cui la realtà smette di presentarsi nella sua natura essenzialmente conflittuale, in cui la violenza è sempre un qualcosa che rimane appiccicato su di un non ben identificato fondale lercio e li vi rimane. Huzinga descrive come nel medioevo il senso del macabro pervadesse ogni istante dell'esistenza umana. Questa presenza effettiva era veicolata principalmente dall'iconografia del tempo; quella della "danza macabra" dominò la scena e l'immaginario collettivo per molti decenni, una rappresentazione tragica del futuro imminente, della transitorietà dell'esistenza, del "memento mori": nella danza macabra non si balla con la Morte, bensì col morto ovvero con se stessi, nella nuda immagine col proprio cadavere decomposto. Il macabro e quindi la visione del tragico monopolizza tutto, è attraversato dal senso religioso, alimentato dal contatto quotidiano con la realtà della morte violenta, dalle epidemie,dalla fame ecc. Adesso si rimane inerti di fronte a questo processo di rimozione in cui tutto ciò diventa "non mostrabile", il che non significa affato che il sordido sia stato debellato; si può ancora farne la conoscenza diventando mercenari(perché ormai si sa,la guerrà sta agli specialisti come gli interventi a cuore aperto ai chirurghi) o assistendo ad una corrida. La corrida è quel che rimane della danza macabra, di quel sentimento medievale, tragico che caratterizza la vita e dello stretto legame che intrattiene con la morte nella sua dimensione materiale, immediata, fatta di ossa sudice, carni putrefatte e bellezza sfumata, svanita, definitivamente perduta. La rappresentazione del macabro ha a che vedere con l'interpretazione macilenta della corrida nei suoi aspetti più visibili, cruenti, dagli sbudellamenti, al sangue col suo scorrere lento, al bianco opaco delle ossa messe in mostra attraverso le ferite a cui il combattimento violento, autentico, inevitabilmente da imparagonabile risalto. La tragedia passa dall'immagine macabra perché, come riflette Huizinga, la fugacità della bellezza e della vita che la alimenta, non può arrestarsi alla melanconia per la consapevolezza della sua inevitabile fine,ma deve proseguire, irrimediabilmente, fino a giungere all'edificazione del suo orrore più pieno. In ragione di ciò la corrida è una tragedia in 3 atti, l'ultimo dei quali, quello dello scontro mortale, vede l'uomo e il toro fronteggiarsi in un turbinio di agire fisico e presenza spiriturale che, quando si manifesta nella sua espressione migliore, più completa, innesca quello strano incrocio di essenze alchemiche ed abilità pratica che da vita all'arte. C'è un filo rosso che unisce la religiosità della danza macabra e del suo "memento mori" a quella tutta particolare della "suerte" della danza della morte che si consuma all'interno dell'arena, ovvero quel complesso di azioni sempre identiche, rituali che fanno parte del suo truculento cerimoniale. E anche il lagame tra rappresentazione e chi osserva è colmo di quel sentire "desecolarizzato" dell'uomo di Huizinga; quell'uomo che si accosta di fronte all'immagine del proprio scheletro danzante con la medesima esaltazione religiosa, sovrannaturale che contraddistingue parimenti il matador nel suo dare la morte al toro dopo averci duettato lungamente con la "muleta", assegnandosi questo attributo divino che lo lascia li, senza soddisfazione estetica alcuna, svuotato e triste, esattamente come chi assiste, dapprima invasato, all'evento.
Il problema della rimozione del macabro è qualcosa di intrinsecamente legato al processo di lenta erosione di tutto ciò che ha a che vedere con la percezione del senso profondo della tragedia, di cui esso è aspetto fondamentale. L'incapacità di concepire la rappresentazione del tragico nella sua interezza, il che presuppone un non essere più in grado di andare oltre una sensazione della materialità in quanto dato visibile, ovvero cedere all'inganno e all'orrore dell'elemento macabro e isolarlo rispetto al tutto, perché a parte le briciole di pane che cadono accanto non esiste nulla. Questa concezione di materialità completamente privata di un'idea del magico NELLE cose è alla base del rifiuto dell'immagine della morte fisica, il suo aspetto concreto. Grattata via la crosta non rimane altro che il vuoto.
"La corrida non è uno sport nel senso anglosassone della parola, vale a dire non è una gara o un tentativo di gara tra un toro e un uomo. È piuttosto una tragedia; la morte del toro, che è recitata, più o meno bene, dal toro e dall'uomo insieme e in cui c'è pericolo per l'uomo ma morte sicura per l'animale."(Ernest Hemingway*)
Johan Huizinga
Morte e Religione nel Medioevo
Bur,Milano,2009,130 p.
*Ernest Hemingway
Morte nel pomeriggio
Mondadori,Milano,2009,298 p.
3 commenti:
quando avevo 10 anni entrai dentro un recinto dove si trovava un grosso maiale semi-selvatico e gli lanciai contro un bastone a modi lancia...la corrida non e' altro che materia a cui associamo una nostra idea sovranaturale,l'arte invece dovrebbe essere l'esatto contrario.
Contento di averti indotto ad una riflessione su arte e bellezza,coerentemente ai miei intenti.Apprezzo il fatto che la tua critica si rivolga a questo aspetto della faccenda(il più interessante a mio avviso).
A presto.
ROSARIO CARANNA
Io credo che la corrida sia da prendere in considerazione come metafora della vita. Non è sempre un evento estetico, ma potrebbe esserlo alla stregua della danza crudele e bellissima di un ragno che tesse la propria tela per uccidere la preda. Tutto questo ovviamente spogliato dal significato etico più spicciolo.
Posta un commento