2010-01-10

Il paese è reale

“Mi chiamo Effe, e vengo dal futuro”, fu quello che disse o, perlomeno, fu quello che Rudy riuscì a tradurre di quella lingua così ispida e spigolosa con cui quel ragazzo, sedicente e quanto mai strano viaggiatore del tempo, si esprimeva.
Era piombato nel suo giardino una notte di Aprile piuttosto calda e limpida, mentre Rudy se ne stava supina sul lettone della sua stanza a guardare da uno spiraglio sotto la coperta le stelle nel cielo.

Dalla finestra aperta era ricaduta una cascata di luce abbacinante, un tonfo sordo, e poi di nuovo il silenzio notturno, interrotto solo dal quieto bubolare di qualche gufo, per nulla turbato dall'accaduto.
Rudy pensò d'aver avuto un'allucinazione, un tiro mancino della sua menticina stanca, finché non scese nel giardino, passando dalla porticina laterale della cucina - facendo attenzione a non farla cigolare troppo per non svegliare i genitori - e assistere con i suoi occhi ad una scena che poteva essere tratta da un qualche film di fantascienza.
Proprio accanto al vecchio castagno ricurvo che Rudy amava chiamare Bitonto, vicino all'ispida siepe delimitante il giardino e che d'estate diveniva il soggetto delle sperimentazioni topiarie del nonno, giaceva una sfera rivestita da placche esagonali embricate e fumanti.
Da un'apertura tondeggiante sbucò fuori un esserino lungo e pallido, che poteva essere benissimo un alieno piuttosto che un essere umano.
Non avendo un'esatta idea di come un essere extraterreste potesse apparire e, dato che era abbastanza leggero da poter essere sollevato con le sue deboli braccia da quindicenne, Rudy lo trasportò in silenzio nel solaio, salendo per le scalette a chiocciola dello stanzino accanto camera sua.
Il giorno dopo, quella che sembrava la strana caricatura di un'astronave era completamente scomparsa, lasciando solo un buco enorme nel giardinetto ordinato, il frutto delle fatiche indefesse e quantomai ostinate della madre che, vedendo rovinato il lavoro di Dio solo sa quanti mesi, corse il rischio di svenire in preda a un collasso.
Per fortuna, la faccenda s'aggiustò nel modo meno complicato possibile, e tutta la questione del buco nel giardino fu archiviata come: “incidente casuale causato dalla caduta di qualche detrito spaziale”. E questo era quanto.
Approfittando della situazione, facendo ben attenzione a non far trapelare nessuna informazione riguardo la presenza di un possibile alieno nella soffitta, e sperando che quel piccolo essere non provocasse qualche altro disastro colossale causando così l'annientamento dell'edificio dove abitavano, Rudy iniziò la conoscenza del viaggiatore del tempo.
Innanzitutto, il sedicente alieno parlava una lingua molto strana, quasi priva di vocali, rimpiazzate da una teoria di consonanti aguzze e difficili da pronunciare, roba del tipo: “vng dl ftrs”, oppure, “dv m trvs”, tutte espresse con lo stesso monotono tono di voce, come se non fossero state previste le frasi affermative, esclamative o interrogative durante la formazione del linguaggio.
Scoprì che non rifiutava il cibo che lei riusciva a procurargli da tavola o sottraendolo dal pasto destinato al gatto, che fu costretto a intraprendere un forzato periodo di dieta di cui non fu molto entusiasta. L'alieno mangiava con un vivo appetito, tanto che a Rudy sembrò davvero affamato, come se non mangiasse da chissà quanto tempo.
Armata di un vecchio diario del millenovecentonovantasei, preso in prestito da una catasta di agende – tutte vecchissime - che il padre recuperava dagli scarti dell'ufficio e che, per un motivo o per un altro, si rifiutava di gettare nell'immondizia, e di una nutrita fila di matite, la ragazza iniziò a comporre la sua personalissima Stele di Rosetta da usare come chiave di interpretazione di quella strana lingua.
L'alieno si comportava piuttosto bene, rimanendo a dormire tutto il giorno, mangiando quando riceveva del cibo e cercando di dialogare con la sua strana benefattrice. In qualche modo aveva capito che la ragazza cercava di trovare un senso in ciò che diceva, e così s'impegnava a ripetere le frasi o a scandirle meglio che poteva, anche se non era cosa facile nemmeno per lui.
Man mano che Rudy si spingeva avanti nei meandri di quello strano linguaggio, maggiori similarità notava con la sua lingua: sembrava una versione ultra-impoverita dell'italiano, con una mancanza quasi totale delle vocali e di alcune strutture grammaticali di base.
Capito il meccanismo, azzardò un tentativo di comunicazione, domandando al viaggiatore da dove venisse; dalla bocca le uscì un incidente sonoro che sembrava più lo stridere della punta magnetica su un disco di vinile quando si sposta la testina repentinamente, più che una frase avente senso compiuto. Ammesso che ne avesse uno.
L'esserino le rispose che in realtà lui era un essere umano, e che era riuscito a fuggire da quello che pensava fosse il futuro, trovando quella strana macchina del tempo custodita nell'edificio degli Uomini Vecchi. Avendo compreso che la ragazza capiva – più o meno – ciò che diceva, decise di raccontarle la storia del mondo da cui veniva.
Rudy, affascinata da quell'essere intento a narrare il suo racconto con quei termini incomprensibili, stette in silenzio ad ascoltare, mentre un leggero timore si manifestava educatamente nel suo cuore.
L'essere le disse che la sua epoca, secondo i suoi calcoli, si trovava in un futuro lontano circa un secolo. Le raccontava di un mondo molto povero, in cui gli uomini raramente riuscivano ad avere interazioni fisiche, e trascorrevano tutti gran parte del tempo davanti a una televisione specifica, poiché esistevano vari tipi di tv. Ognuna aveva un compito specifico.
Nel suo futuro non esistevano scuole, però esistevano più comode tv-educative, che permettevano ai ragazzi di istruirsi con facilità: non c'erano edifici nei quali recarsi per seguire le lezioni, né professori, né compagni di banco: c'era solo una televisione speciale dotata di un programma centralizzato chiamato ASEV che provvedeva – in modo del tutto automatizzato – a insegnare la storia, la tecnica e la neo-religione. L'italiano era escluso dall'insegnamento, poiché, a detta di tutti, era naturale apprenderlo dalla Televisione o dalla gente per strada, e i giovani non necessitavano di pratica aggiuntiva per farlo loro.
Poi c'era la Televisione normale, che serviva da guida morale per la gente. C'erano dei programmi ti facevano vedere come vestire, come parlare, come mangiare, come dormire, come lavarti, e niente di questo era d'obbligo, però era consigliabile farlo se volevi essere un buon cittadino.
In ogni abitazione erano installati degli array coordinati di telecamere, per permettere a chiunque di poter osservare la vita degli altri e la privacy era completamente divenuta di pubblico dominio. Era normale per ogni persona passare tutti i pomeriggi davanti alla Grande Televisione, per guardare nella casa qualcun'altro.
Solitamente c'era ben poco da guardare, poiché il soggetto delle osservazioni altrui era, molto spesso, osservatore anch'egli di altre case; tuttavia la gente trovava un morboso e quantomai affascinante piacere nello scrutare le vite degli altri.
Il divertimento comune era sfrecciare per le lunghe autostrade che ricoprivano il paese a bordo di veicoli automatizzati che raggiungevano altissime velocità oppure recarsi in edifici molto grandi dove, da impianti sonori potentissimi, veniva trasmesso un suono basso e ripetitivo che durava tutta la notte. Molti morivano a causa degli attacchi epilettici, però tutto sommato era divertentissimo.
Tutto quello che avrebbero potuto svolgere veniva già svolto da un programma apposito, al punto che lo stesso pensare era divenuto oltremodo faticoso, e quindi s'era escogitato di automatizzare la cosa. Nessuno riusciva a quantificare la propria consistenza fisica, poiché mancava la coscienza immateriale della propria mente.
Molto presto l'uomo perse la capacità di formarsi un'identità propria, avendo abolito i contatti sociali, la possibilità di leggere e scrivere (essere analfabeti era ritenuta una qualità considerevole nella sua futura pseudo-società), di avere un'istruzione o di compiere qualche azione che fosse dettata dal proprio libero arbitrio.
Rudy ascoltava quelle rivelazioni e il proprio timore si trasformava prima in una mestizia profonda, causata dalla compassione per quello che sarebbero divenuti, e poi in vero e proprio terrore. Ci si stava trascinando in una morte mentale di dimensioni titaniche: era come se l'uomo avesse smesso di condurre guerre fisiche per dedicarsi all'annientamento della mente. Non c'erano torture, né dolore, in quella realtà, ma un gran mucchio di nulla che divorava il mondo come nemmeno una bomba atomica avrebbe mai saputo fare.
Ma la cosa che faceva più paura di tutte, ciò che ghermiva e intirizziva il cuore di Rudy al punto tale che temesse di perdere la vita nell'instante in cui ascoltava quelle parole, come se fossero imbevute di arsenico, la cosa che più la spaventava era che l'uomo, in quella spasmodica realtà, sembrava felice.
Felice di aver finalmente smesso di pensare.

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