2010-01-17

Palermo e la città (in)visibile

Se si ha ancora un pugno di senso critico e un barlume di sensibilità superstite ai ladri tecnologici, a mettere piede per la prima volta a Palermo ci si sente come Armstrong sulla Luna ( che poi lasciare le proprie orme non è così difficile dato lo spesso strato di liquami calpestabili).

Palermo è la Leonia di Calvino. Città che si distrugge e ricostruisce sempre uguale a se stessa , in bilico tra fasti e miseria.

Palermo è un ossimoro con il suo centro storico caotico, odoroso, la gente bene di via Libertà, che dimentica di affacciarsi sul mondo anche se spesso per la sua eterogeneità ne è sineddoche .

Palermo è un’isola a capo di un’isola.

Bisognerebbe liberarsi dalla becera convinzione che comprendere la Sicilia equivalga a viverci.

Per comprendere la Sicilia bisogna conoscere Palermo, anzi, forse per comprendere l’umanità bisognerebbe conoscere Palermo.

Palermo è un luogo selvaggio, che vive nel paradosso di una città di un mare solo supposto, rinnegato, che ti strappa a morsi tutto ciò che di poco democratico hai in corpo.

Dopo poche ore dal tuo ancoraggio in questo porto, inizi ad odiarla per la sua gente sguaiata, che urla e ti spintona sui mezzi pubblici.

Poi la ami, per gli stessi motivi.

Ed i sentimenti finiscono per alternarsi con un lasso di tempo tanto breve da non riconoscersi, sovrapporsi.

La si infama anche quando non è necessario, ma la si difende a costo della propria reputazione, da chi tenta di metterla in cattiva luce.

Perché Palermo è una madre, zoccola, che ti plasma, che non ha vergogna di essere bella anche quando è crudele.

E puoi pestare siringhe in viottoli percorsi da fanghi e "munnizza", ed avere le spalle coperte da mani di statue di stampo quasi berniniano e i pensieri sotto cupole dai colori tanto brillanti da sembrare irreali.

Vivere a Palermo significa vivere per Palermo. Studiare a Palermo significa studiare per Palermo.

La caratteristica fondamentale di Palermo è l’autoreferenzialità: città che vive per se stessa, sempre, i cui abitanti riescono ad avere slanci vitali solo in nome dell’imminente, in cui il senso del “proprio” è tanto spiccato da annullare completamente quello del “comune”.

Vederla esteticamente, come un corpo vecchio, bislacco, ansimante ma ancora vivo, suona quasi come un paradosso.

Ma a darle sussistenza, a concederle questo limbo eterno, è proprio questo essere ingorda, buco nero attrattivo per tutto ciò che la circonda: risorse umane, materiali, negate al resto e fagocitate voracemente da un luogo che non ne trarrà profitto oltre la propria inspiegabile esistenza, ma che riesce a trasformare in non-essenza tutto ciò del quale risulta appendice.

E quando per la prima volta ti capita di sentire qualche bambino appellare un proprio coetaneo, con un tono di certo non conciliante, “coinnutu e sbirro”, non puoi fare altro che indignarti.

Ma l’indignazione passa quando ti rendi conto che Palermo non ha padroni, rifugge qualsiasi autorità che non sia autoctona.

Palermo è l’unica padrona di Palermo.

E quando autorevolissime voci spiegano che questa chiusura patologica nei confronti dell’esterno ha delle ragioni orografiche o è causata dal susseguirsi spasmodico di dominazioni così eterogenee, ci si dimentica sempre del fatto che Palermo è vittima ma anche carnefice, che esiste come organismo autonomo in cui i giochi sono sempre diversi dal resto del mondo, dell’Italia e perfino della Sicilia.

Palermo è stata dominata solo apparentemente, perché in virtù della propria mollezza, del “fare ciò che fa bene solo a me”, ha sempre utilizzato quasi in maniera beffarda chi ha cercato di imbrigliarla.

E quando si tenta di spiegare il perché della chiusura del centro storico nei confronti del mare spesso si risale alla matrice parlando di errori urbanistici.

Ma Palermo è le sue bancarelle di “stigghiola” lerce agli angoli delle strade: un luogo che si nutre delle viscere delle cose, delle culture, degli uomini, fino alle strenue conseguenze.

Il suo centro storico non è che questo.

Vivere a Palermo per chi non è di Palermo è vivere un luogo angusto, che non ti culla mai ma che innesca strani meccanismi di appartenenza.

Sembra sempre di essere sull’orlo della guerra civile eppure, in tutto questo caos, esiste un equilibrio, che spogliandosi da ogni giudizio morale, risulta perfino intimamente ed esteticamente avvenente.

Smetti di amare Palermo per le sue cose migliori, in nome delle peggiori.

E non saranno quindi i pinnacoli della Cattedrale, le cupolette, ad attrarti, ma il lerciume che copre i palazzi quasi fino all’orlo, che li snatura, li rende cadaverici; l’odore forte di arancine e sfincioni; gli sventramenti e il chiasso dei mercati.

Palermo, amata come si amavano gli uomini quando ancora si concedeva loro di essere vecchi ed imperfetti: perdutamente.


“Palermo è sontuosa e oscena. Palermo è come Nuova Delhi, con le regge favolose dei maharajà e i corpi agonizzanti dei paria ai margini dei viali. Palermo è come Il Cairo, con la selva dei grattacieli e giardini in mezzo ai quali si insinuano putridi geroglifici di baracche. Palermo è come tutte le capitali di quei popoli che non riuscirono mai ad essere nazioni. A Palermo la corruzione è fisica, tangibile ed estetica: una bellissima donna, sfatta, gonfia di umori guasti, le unghie nere, e però egualmente, arcanamente bella. Palermo è la storia della Sicilia, tutte le viltà e tutti gli eroismi, le disperazioni, i furori, le sconfitte, le ribellioni. Palermo è la Spagna, i Mori, gli Svevi, gli Arabi, i Normanni, gli Angioini, non c'è altro luogo che sia Sicilia come Palermo, eppure Palermo non è amata dai siciliani. Gli occidentali dell'isola si assoggettano perché non possono altrimenti, si riconoscono sudditi ma non vorrebbero mai esserne cittadini. Gli orientali invece dicono addirittura di essere di un'altra razza: quelli sicani e noi invece siculi.” (Giuseppe Fava)

1 commenti:

Anonimo ha detto...

"Perché Palermo è una madre, zoccola, che ti plasma, che non ha vergogna di essere bella anche quando è crudele."
Ed intanto come figlia riesco solo a sentirmi schiava della sua crudeltà, e della sua mollezza. voorrei tanto, TANTO, poterla vedere come te.
Manu.

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