In realtà, negli istanti precedenti al termine il tempo inizia a rallentare, piano: i martelli smettono di battere nei cunei delle ribaditure, le scintille si fermano in aria disegnando tante piccole stelle porporine, il suono del martello pneumatico diviene sempre più lento, lento, tanto che sembra il suono di una vecchia automobile che rifiuta di mettersi in moto.
Lento.
Non riesco a muovere il mio capo, gli occhi sono fissi ad osservare l'ombra dell'impalcatura allungarsi e allungarsi, lentamente, diventando sempre più grande e definita; riesco a distinguere i dettagli: la cassetta degli attrezzi che si apre, lasciando andare la moltitudine di oggetti custoditi, vinti dalla gravità, e mentre osservo le ombre che tracciano sul selciato mi sembra di vedere mille neri coriandoli che esplodono festosi.
A questo punto ti starai chiedendo: “Dunque è questa la morte? È così che si muore? Questo è quello che si vede quando si giunge alla fine, prima di andare all'aldilà?”.
No, non è questa l'idea che ho di morte, nemmeno adesso che avverto il sommesso clangore dei tubi di metallo che fuoriescono dalle giunture, dei bulloni che si annodano, del mondo che mi cade addosso.
No, non è morte.
Morte è sentire su per il naso le zaffate salmastre delle onde spumeggianti del mare in tempesta, stipato con altri cento esseri umani come te, impauriti come te; sentire le loro ossa contro le tue, la pressione della parete di ferro dello scafo, i bulloni che pulsano lungo la linea del tuo cranio e il puzzo del tuo stesso sudore lavato e rilavato da acqua e sole, acqua e sole, tanto da pensare se davvero sia possibile per un uomo fare una tale puzza.
(ma è reale e lo senti)
Nella notte stellata coperta da nubi gravide di pioggia, scorgere i fari delle imbarcazioni che passano, ti scrutano con il loro occhio accecante per poi rivolgere il fascio di luce altrove, profondamente rammaricate di averti osservato, anche solo per un attimo. E non ti arrabbi per questo, poiché sai che avresti la stessa sensazione se incrociassi lo sguardo di uno dei tuoi compagni di sventura. E nei suoi occhi scorgeresti la stessa morte che alberga nel tuo corpo, in quel-preciso-istante.
Morte è anche accettare di issare sacchi di sabbia, trainare carrucole tracimanti di mattoni, tirare funi legate a decine di assi metalliche, inchiodare ribattini, legare corde, impastare il cemento (se avevo i soldi per una betoniera non mi scomodavo a chiamare uno come te), impilare mattoni, pulire gli attrezzi, riporre carrucole, stendere teli impermeabili, caricare gli alimentatori, respirare le esalazioni esiziali delle polveri senza nemmeno una mascherina, per nove ore al giorno, per cento o duecento euro al mese.
(ci sono centinaia di persone come te là fuori che vorrebbero il tuo posto).
Scorgere nello sguardo dei tuoi compagni (dei tuoi pari) un riflesso torvo, forse non di disprezzo, ma di superiorità, mentre un sorrisetto appare all'angolo delle labbra, di scherno, e pensi di conoscere sin troppo bene i loro pensieri: “È dura qui, eh? Perché non torni da dove sei venuto.”
Ti sembrerà orrendo, vero?
Allora lasciami aggiungere che, secondo me, Morte è ascoltare il fruscio delle tende di plastica straziate dalle piogge intense mentre, sorrette a mezz'aria, intonano la loro triste melodia notturna, permettendo al vento di sibilare attraverso i buchi del loro corpo butterato, acquisendo una voce propria che così ben si confà all'eco spento dei tuoi pensieri. Ai ricordi lontani di Shamira, con i suoi occhi color nocciola e i suoi lineamenti dolci, che sospira alle stelle luminose dell'Eritrea e canta la sua canzone: che parla di speranza, che parla di vita. Echi di guerre, di spari, di figure tetre che spalancano le porte di notte, per perquisire, per frantumare.
(i sogni)
E la voce di Shamira non canta più del pastore che richiama le pecore dall'altopiano, che sospira al vespro e sorride al mattino. Proprio in quel momento, mentre la schiena si appiattisce sulla stuoia recuperata in quell'angolo della strada, con un filo di cartone a farti da coperta e la triste melodia del vento a evocare i tuoi ricordi, in quel momento ripensi al buon odore dell'argilla e delle canne di bambù selvatico, allo sciacquio del Nilo, così intenso, che potevi sentire nelle notti calde e silenziose, al riverbero diafano dei bambini che giocano e si lanciano schizzi nelle pozzanghere, tornando alle case con i calzoncini e le magliette ridotte ad un canovaccio ecru. E ti chiedi, dal profondo del tuo cuore libero che, se non è Morte quella, allora che cos'è?
Che cos'è la Morte?
Allora lasciami dire Amico mio, che non ti conosco, ma lascia che ti chiami Amico, perché vorrei che lo fossi, mio Amico, anche adesso che sto morendo, anche adesso che le ombre diventano così affilate da sentire il formicolio del metallo che sfibra la mia vita ancor prima di colpirmi; anche se sono nero, se ho fatto o faccio puzza, se i miei occhi sono troppo bianchi e i miei denti troppo neri, se il mio aspetto ti fa paura e la mia pelle ti fa ribrezzo, sii mio Amico.
Adesso.
E io ti svelerò che in questo istante congelato nel tempo, come lo scatto di una fotografia, non c'è malvagità nell'aria che respiro, chiudendo gli occhi sento ancora i gabbiani cantare lungo i costoni di roccia dell'Africa settentrionale, vedo il Mediterraneo spumeggiare contro le scogliere e credo di non aver paura di Lui, l'acre sapore del sale non mi sembra dopotutto così aspro; e rivedo Shamira, ancora staccata contro il cielo che risplende, contro il Grande Carro e la Stella Polare, guardarmi e sorridermi, e nessun uomo, nessuna donna, nessuna creatura malvagia che cammini tra le stelle o vaghi per la terra, nessuno dovrà costringermi a separarmi da lei, e potrò vivere per sempre.
Questa è la Morte, questa è la Morte che sento, più forte della vita, ed io non vedo Vita negli occhi spenti di quelle figure oltre me, che mi guardano, che mi scrutano, che fanno pensieri così scroscianti che nel crepitio riesco a sentire: “uno in meno, uno in più, che differenza fa?”, “era meglio che restavi dov'eri”, e vedo, ne sono sicuro, che nei loro occhi, in QUEGLI occhi, non c'è Vita e non c'è mai stata.
Mai.