2010-09-25

Contro l'istruzione obbligatoria.

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L'istruzione obbligatoria è un crimine.

A scuola si entra la prima volta piangendo e scalpitando, tentando di divincolarsi dalla stretta di un genitore fiero ed emozionato, quasi sempre sollevato. Ci si entra con lo sguardo ancora limpido di chi non è affatto stanco di giocare, e che ha preso ormai da tempo confidenza con gli oggetti del mondo e ha iniziato a plasmarli a modo suo, in un mutuo arricchimento segnato da scoperte emozionanti e deludenti incidenti di percorso in cui si fa strada a poco a poco il senso del limite. Se ne esce, se fortunati, dodici anni dopo. Altrimenti gli anni di detenzione possono aumentare fino a quattordici, e per chi è costretto o entusiasmato e vuole proseguire con l'università si arriva anche a venti, o più. Quasi la misura di un ergastolo all'italiana. Se ne esce del tutto cambiati: i giocattoli non esistono più o, se esistono, non sono più il mezzo preferito per conoscere il mondo, ma il primo rifugio per dimenticarsene.
Il mondo è diventato una cosa terribilmente seria. Il bambino, il primo giorno di scuola, se ne rendeva conto, e piangeva. Adesso che è diplomato, o laureato, sorride di quell'atteggiamento “infantile” (l'aggettivo è inteso né più né meno che come un insulto), con la consapevolezza di chi ha imparato tanto e deve guardare avanti per costruirsi un futuro, per “realizzarsi” in quella vita che ai suoi occhi era sembrata uno scherzo, e che adesso pare una trappola. “Realizzarsi” è uno dei termini correnti atti a designare il pieno inserimento nel regime di insensatezza instaurato dalla cultura capitalistico-consumistica: la forza creativa di un bimbo è completamente annientata, il suo reale contatto con le cose del mondo lobotomizzato, la ricerca di senso e il confronto con le grandi questioni che comporta l'essere in vita ridotti alle sole, meccaniche funzioni alienanti del lavorare e del comprare. Quel bambino che sarebbe stato capace di ascendere alle vette dei monti per guardare il cielo da vicino e solcare i mari in tempesta alla ricerca di terre sconosciute, per soddisfare l'infinita curiosità e l'inesauribile impulso al gioco, è diventato un uomo convinto di sapere già tutto ciò che serve, vecchio, disilluso, inetto, docile, incurabilmente noioso e annoiato.
Cosa è successo? Perché non gioca più come prima? E' intervenuta la scuola. Ecco una possibile testimonianza:

“A scuola ti insegnano un sacco di cose, purché tu faccia silenzio e parli solo se interpellato, purché tu smetta di giocare e non veda la tua famiglia almeno per mezza giornata, purché tu non abbia da ridire su ciò in cui vieni istruito, purché tu sia pulito, educato e obbediente. All'inizio può sembrare una fregatura, poi invece capisci quanto ci si guadagni. A scuola ti insegnano che il mondo è fatto a scale: in cima siede chi ha abbandonato per primo i giocattoli, si è messo a studiare e ha capito subito che la vita è una cosa seria, cioè proprio quei bambini con cui giocare non è mai stato un piacere; in basso, invece, stanno coloro che non sono ancora maturati abbastanza, che non studiano e non hanno ancora capito com'è fatta la vita. Esiste un modo preciso per misurare a che punto sei della scala: i voti. Più i tuoi voti sono alti, più vicino sei alla cima, e più vicino sei alla cima, più hai il diritto di sentirti migliore degli altri.
Studiare, essere educati e arrendevoli alle ingiunzioni dei professori è la strada maestra per arrivare in cima. Una volta in cima, se sei fortunato, puoi anche collaborare coi professori per far capire agli altri che dovrebbero essere tutti come te. In questo modo, imparare diventa una gara avvincente e molti si impegnano per raggiungere la vetta, spinti dall'ambizione o dall'invidia dei compagni.
Studiare all'inizio è noioso e proprio non vorresti farlo, ma poi ti abitui e anche se ti annoi cerchi di non farci caso. Salire la scala è troppo importante e rimanere in basso è motivo di umiliazione, di scherno, di quel senso di inferiorità che deriva dalla coscienza di aver fallito totalmente, di non valere nulla.
Anche nelle materie di studio c'è una scala, che è poi il metro con cui si misura il voto che meriti. Per prendere un voto alto devi essere a conoscenza di questa scala e devi saperla applicare. Lo studente modello è quello che senza conoscere da prima la scala specifica da adottare in una determinata occasione, riesce a fare la scelta che si colloca in cima ad essa. In ogni materia che si studia a scuola ci sono delle informazioni da ritenere giuste (quelle in cima alla scala) e altre da ritenere sbagliate (quelle in fondo), delle opinioni giuste e altre sbagliate, degli atteggiamenti giusti e altri sbagliati. Più scelte giuste collezioni, più i tuoi voti sono alti.”

Facciamo qualche esempio riguardante la situazione italiana.
La lingua giusta è l'italiano (ossia il volgare toscano, imposto come lingua nazionale al popolo - ? - italiano con l'unità - ? - d'Italia), e in cima alla scala si trova l'italiano dei manuali di grammatica. Ogni deviazione dalla norma è errore, opportunamente contrassegnato, nei temi, da sottolineature in rosso o in blu, a seconda della gravità. Parlare o scrivere come il contadino che conosce solo il dialetto o come Dante Alighieri è ugualmente errore, in quanto inosservanza delle regole grammaticali dell'italiano contemporaneo: matita rossa o blu, marchio d'infamia.
Il sistema politico giusto è la repubblica democratica fondata sul lavoro. Il lavoro è un'attività nobilitante dell'animo e costituisce la modalità primaria con cui l'uomo (ossia il cittadino, non essendo contemplata una differenza tra i due) si inserisce nella vita sociale e interagisce con altri uomini. Lavorare almeno otto ore al giorno è la norma, non lavorare è segno di pigrizia, immaturità, irresponsabilità, inettitudine. Rispettare le leggi è giusto e morale, non rispettarle è sempre sbagliato e immorale. Chi non rispetta le leggi va punito severamente con ammende in denaro o con più o meno lunghi periodi di reclusione in carcere.
Il modo giusto di comportarsi in società è quello che si rifà ai principi del buon senso comune. Chi non vive conformemente al buon senso, è da considerarsi anormale o squilibrato, e in quanto tale va corretto facendo ricorso alla psichiatria e a opportune cure farmacologiche.
La cultura giusta è quella occidentale, democratica e liberale, tuttalpiù socialista.

L'istruzione obbligatoria è un crimine perché tutto ciò non è né vero né giusto. L'istruzione obbligatoria è il più imponente baluardo che sia mai stato edificato a difesa della mediocrità, la ferrea egida temprata per annichilire un'umanità non più capace di prendere il mare in cerca di nuove americhe, non uomini, ma sordido impiegatume della vita. L'istruzione obbligatoria è la soluzione finale al problema che ha ossessionato da sempre i centri di potere: la massa, nella sua portata distruttrice e rivoluzionaria, corrosiva del vecchio e portatrice del nuovo, il temutissimo nuovo. L'istruzione è il vero potere dello Stato moderno, l'unico che riesca realmente a garantire il gattopardesco “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Da quando, in età moderna, lo Stato ha avuto bisogno di obbedienza totale a un solo potere centralizzato, la scuola e la religione si sono offerte come alleate fondamentali per imporre un'interiorizzazione del senso di colpa e del rispetto delle leggi, del “senso civico” e della morale della moderazione, strumenti necessari a garantire stabilità e prosperità al potere delle classi privilegiate senza ricorrere a un continuo stato di polizia. Finché tutti i bambini diventeranno uomini in un solo modo, l'unico previsto, la fisionomia delle classi al potere difficilmente cambierà nella sostanza. Finché i bambini saranno costretti ad andare a scuola, la cultura sarà odiata e snobbata, e tuttavia il disciplinamento delle coscienze continuerà. Finché i bambini saranno costretti a imparare, si ucciderà la loro creatività, il loro spirito critico, si recideranno alla base le uniche reali speranze di rinnovamento dell'umanità, o più semplicemente della società italiana. Non a caso, a ribellarsi con decisione alla mafia sono stati gli immigrati di Rosarno, non certo gli “istruiti” consiglieri regionali del meridione. Istruire non significa solo “far apprendere a qualcuno nozioni di una disciplina”, ma anche “dare istruzioni, direttive, consigli su ciò che si deve fare”: che sia un caso?
Quando si potrà ottenere un lavoro sulla base delle proprie competenze effettive e non di un curriculum che renda testimonianza del proprio periodo di detenzione e di canalizzazione forzata della mente lungo binari consentiti, forse la scuola non sarà percepita come una necessità così impellente.
Quando la scuola sarà gestita da libere associazioni private di cultura, forse il bambino, tra una partita a calcio e una al biliardino, stanco, avrà voglia di conoscere il mondo, per scoprire qualcosa di nuovo o per trovare nuovi stimoli per giochi più interessanti, o forse per conoscere altri bambini. In caso contrario, si sarà risparmiata una violenza e si sarà reso un servizio alla libertà che ognuno di noi dovrebbe avere, una volta nato senza averlo chiesto, di gestirsi la propria vita a modo suo.



* Non condivido neanche una parola o una virgola dell'intento, delle idee, dei contenuti di questo articolo. Ma, pur pensando questo, ritengo sia un articolo utile per far nascere un dibattito, che mi auguro sereno e pacato, attorno al perennemente attuale argomento scuola. Un saluto. L.F.

2010-09-20

Due o tre cose su "Profumo di donna"

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E' la storia di un cieco. Difficile costruire una storia intorno ad un cieco,i ciechi sono prudenti, il punto è che si tratta di Gassman. Gassman è Gassman a prescindere dal ruolo che si tenta, invano, di cucirgli addosso, non può interpretare nessuno che non sia se medesimo nella misura in cui l' indole mattatoria lo porta SEMPRE ad overinterpretare se stesso. Quindi questo è un film su come sarebbe stato Gassman se fosse stato cieco. Come il Grande Dittatore non è altro che un film su come sarebbe stato Chaplin se fosse stato Hitler. D'altronde Chaplin subì per primo il plagio da parte di Hitler, che gli rubò i baffi.
Si tentava di parlare di Gassman cieco, il fatto è che il suo stato, lungi dal depotenziarne l'essenza, ce ne offre un distillato di primissima qualità. Gassman cieco finge bene,molto meglio di quello sano, falsifica ciò che è con quello che dice di essere, credo in Dio, crede nella speranza, ripone tutto quel che rimane di se stesso nell'amore fedele di una giovane donna, ha paura di morire. Però lo nasconde. Dice di essere una pietra. Mente. Gassman cieco non è altro che un attore, un gran figlio di buona donna, come tutti gli attori, tutto qui. Risi è bravo in ciò, relega l'azione "fuori dalle immagini", sfruttando tutte le potenzialità di una storia che deve essere necessariamente statica. E' un film sulle conseguenze delle azioni. Gassmann è già cieco, il suo giovane badante è già tale, non lo diventa, la donna che lo ama non impara ad amarlo, lo ama da sempre, durante la pioggia la telecamera indugia sulla "prigione interiore" di Gassman sulla quale per un attimo soltanto si apre un spiraglio e allora quello spiraglio va colto mentre l'esuberanza gioiosa resta relegata sullo sfondo, fuori dalla finestra. Dopo un po' tutti gli inganni vengono svelati, c'è solo il cieco sofferente,tremabondo, va via il giovane che si prendeva cura di lui, va via Gassman, va via Risi. Rimane la realtà dietro la finzione squarciata.

2010-09-13

"Sui giovani d'oggi ci scatarro su"

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Zoe aveva vent’anni.

C’era tempo per la paura di perdere un lavoro sottopagato.

Aveva una vita per questo.

Aveva vent’anni ed ardeva di quella inconsapevole bellezza di chi ancora pensa che per il mondo, si possa fare qualcosa.

Lei, come tanti - pensava.

E allora, scarpe logore a cortei anche fuori Fishville, per commemorare con bandierone al vento e facce contrite per gli eroi che erano stati.

Lei, come tanti - pensava.

E allora, indignazione, rabbia.

Un giorno, Zoe di FishVille, paesello al confine con il mondo proibito che ripudiava e disprezzava ( - lei, come tanti- pensava) udì uno strano mormorio, sottofondo di slogan come “la libertà è sacra”, “viva la legalità”.

Era un brusio fastidioso.

D’un tratto un tizio incappiato in una cravatta dai toni tenui s’era fermato di fronte alla folla urlante e recalcitrante di quel corteo.

Abbassando gli occhiali, con il giornale ancora sotto braccio, guardava ad uno ad uno quei ventenni delle prime file.

Ed il suo sguardo, sembrava toccare ogni presente, penetrarlo, zittirlo.

Con rassegnazione biblica, le acque del corteo si divisero in due, per far passare il profeta.

Le bandiere smisero di sventolare.

Zoe, continuava ad urlare, aveva vent’anni. Non capiva.

Con fare interrogativo chiese al suo vicino chi fosse quel tizio.

Non ebbe risposta né a questa né alle domande successive.

Zoe, continuava a non capire.

Il giorno dopo, tutto era come prima, solo che di quella manifestazione non si parlò più. Si erano tutti sparaflashati il cervello, come se sul serio non ne avessero memoria.

I poster dei grandi eroi sempre appesi nelle sale riunioni e stampati in technicolor sulle magliette.

Sempre gli stessi slogan bofonchiati o urlati.

Tutto era come prima.

Solo che, quando in un volantino lesse “ E' arrivato il vento del cambiamento...” Zoe, non riuscì che a sentire tanfo di carcasse in putrefazione.

Quello fu il momento esatto, il preciso istante, in cui capì che la sua terra non aveva speranze.



“Il denaro, il potere porta gli uomini a gesti spregevoli.

Per loro natura le nuove generazioni si oppongono, in un processo quasi scontato che si ripete da millenni.

Si oppongono per poi, in maturità, dimenticarsene e per la maggior parte, trasformarsi da vittime in carnefici.

E' così che va il mondo. Anzi, che andava.

Questa regole è stata irrimediabilmente spezzata.

La mia generazione è una generazione pingue di slogan da supermercato e di bandiere di uomini che con ogni probabilità non fanno che girarsi e rigirarsi vorticosamente nella tomba, nella triste coscienza di essersi sacrificati per dei quaquaraquà.

La mia generazione si vende, anzi si svende.

E lo fa col sorriso come quando si è già vecchi e compromessi.

Solo che la mia generazione non ha l’alibi della vita che ti devia perché la vita, non l’ha ancora vissuta.

Il “giusto” predicato in tutte le salse per tre volte al giorno - ore pasti, è vuoto, non esiste.

Figurarsi il “Giusto”.

In questo marasma di “anime belle solo quando non c’è da sporcarsi le mani”, forse, qualcuno potrebbe salvarsi, ma si trova in una condizione di solitudine e di isolamento mai avvenuta nella storia.

Sono vissuta in un paese che mi sembrava più libero di quanto lo fosse cinquanta anni fà.

Pensavo di essere fortunata, ero stata generata da una terra buona.

Non è così.

Qui a Fishville, gli uomini assetati di potere ed i giovani si somigliano, si confondono, si fondono.

Il predatore mangia le prede.

Ed, io, a questo, mi opponevo.

Fino a quando la consapevolezza del cannibalismo tra prede ha preso il sopravvento.

Le carcasse rimangono, ed il puzzo io lo sento.

La ventata di aria fresca, forse la sentite voi: magari è questo che si sente dopo aver ucciso qualcosa e prima o poi, anche qualcuno, “una ventata di aria fresca”

Chissà.”