
Diario Pazzo
da "I Siciliani", novembre 1983
Il telecronista rimminchionito da una dichiarazione così profonda, balbetta incautamente: «A che cosa, signor presidente?», e Fanfani, con due occhietti nei quali si legge perfettamente «Ma che cazzo vuoi da me?», vibra ancora il dito incontro al naso dell'infelice: «A tutto, amico mio, a tutto!».
Se ne va, fa tre passi in mezzo a una piccola folla di generali, capipopolo, superprefetti, ministri e, volgendosi, leva ancora il dito per ribadire: «A tutto!».
Amintore Fanfani era segretario nazionale della democrazia cristiana venti anni or sono, quando il futuro ministro Gioia era segretario provinciale della Dc di Palermo e Pasquale Almerico era sindaco e segretario comunale della Dc di Camporeale e rifiutò la tessera del partito al capomafia Vanni Sacco e a trecento suoi sgherri per evitare che la democrazia cristiana e tutto il paese cadessero nelle mani della più feroce cosca della zona.
E il segretario provinciale Gioia, il quale voleva invece quei trecento nuovi iscritti, cacciò via il sindaco Pasquale Almerico dal partito, e poiché il sindaco Pasquale Almerico, cacciato dal partito, continuava accanitamente a lottare rifiutandosi di dimettersi dalla carica di sindaco, gli venne espressamente spiegato dai mafiosi nuovi iscritti alla Dc che se non si fosse dimesso entro giorni, avrebbero provveduto loro a dimetterlo dalla vita.
E allora Pasquale Almerico scrisse al futuro ministro Gioia, dicendo che ormai la democrazia cristiana di Camporeale era nelle mani della mafia, e che egli però non si sarebbe mai dimesso dalla carica di sindaco, e scrisse anche per conoscenza al segretario nazionale della dc, Amintore Fanfani, spiegandogli come egli stesse continuando a lottare oramai da solo per l'onestà del partito, e come qualcuno stesse per ucciderlo.
Probabilmente la sua lettera era solo il testamento morale di buon siciliano, o più umanamente solo una disperata implorazione di aiuto di un uomo che non voleva morire, ma nessuno fece niente per Pasquale Almerico, il quale infatti, una sera, mentre usciva dal palazzo del municipio, si trovò solo al centro della piazza, tutte le luci del paese si spensero e da due angoli bui Pasquale Almerico venne crivellato di piombo e ridotto a un cencio insanguinato.
Su tutta questa storia, minutamente, limpidamente scritta da Michele Pantaleone in uno dei suoi straordinari pamphlet, ci fu un processo per diffamazione dello scrittore siciliano, intentato dall'ormai ministro Gioia, e i giudici della corte di appello di Torino dinnanzi ai quali il processo era stato demandato per legittima suspicione, dichiararono che era stata raggiunta la prova che quanto dichiarato da Pantaleone corrispondeva a perfetta e documentata verità.
E dopo vent'anni Amintore Fanfani, capo del governo, viene in Sicilia a celebrare i funerali di Stato di un povero giudice galantuomo, abbandonato al suo destino persino da alcuni suoi colleghi e orribilmente assassinato insieme alla sua scorta e, alla nazione sconvolta e atterrita la quale vorrebbe da lui Fanfani, presidente del consiglio e massimo rappresentante del potere esecutivo, sapere se è ancora possibile, e con quali mezzi lottare contro la mafia, insomma se è vero che la mafia si è ancora impadronita di una parte dello Stato e persino dell'esercizio della giustizia,
lui Fanfani, che non ebbe il tempo per leggere e capire la lettera di quel coraggioso, umile sindaco democristiano di Camporeale, e se ebbe il tempo non però l'intelligenza per capire quella disperata denuncia,
e se ebbe tempo e intelligenza non ebbe però il coraggio politico per scegliere fra quel piccolo, sconosciuto, indifeso democristiano del sud e il suo potente proconsole di corrente in Sicilia,
e così per non aver avuto tempo, o intelligenza, o coraggio praticamente lo condannò a morte, …
lui Fanfani, si limita furbescamente ad ammiccare a tutta la nazione ed ammonire: «Attenzione!».
Pippo Fava
http://www.fondazionefava.it
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