2010-06-25

Cronaca di Giacomino.


Stava seduto su una sedia di legno scuro il buon Giacomino. La testa era china sulle carte ma gli occhi, gli occhi nuotavano altrove. Dove? Sulla città: strade finestre tetti nuvole e campane. C'aveva il suo angolino, il buon Giacomino, e da lì poteva guardare il mondo. Che male c'è? Eppure si sentiva in colpa, povero Giacomino, perché doveva studiare e gli pareva che guardare dalla finestra fosse una distrazione inutile. Da scemi. Lui però lo faceva lo stesso, di sottecchi, si convinceva di studiare e in effetti la postura era quella, ma gli occhi, dicevo, nuotavano altrove.

Le automobili sfrecciavano sulla statale di periferia. Veloci, troppo veloci, non c'era il tempo di chiedersi chi fosse al volante che l'auto spariva, come un'occasione perduta. Ogni tanto Giacomino immaginava di trovarsi dentro una di quelle scatolette, su uno dei sedili posteriori, ad ascoltare le storie che vi si narravano, ad intrecciarne di nuove, a lasciarsi portare chissà dove, basta che ci fossero le curve. Salvo poi ridestarsi d'improvviso dalle fantasticherie, rimproverarsi e tornare con più impegno di prima sulle carte.

E che dire di tutte quelle finestre? A sera erano come lucciole in un mare di stelle e bagliori dispersi nel buio immenso. Dietro ogni finestra una, due, tre storie da raccontare, persone da conoscere e salutare, dieci cento mille ricordi da annotare, tanta umanità da squadernare e poco tempo, poche gambe, solo due, e una bocca sola per parlare e per sorridere. Povero Giacomino, era solo uno e voleva vivere mille vite. Ma che ci poteva fare se non gli bastava la sua?

E anche studiare, mica era per gioco. No, studiava perché era curioso, e perché credeva che sfogliare un libro fosse un po' come sfogliare l'anima delle persone, e chiedere, chiedere sempre, insistere e dire “racconta, racconta ancora!”. E poi lo sapete quanti libri ci stanno in una stanza? Non aveva bisogno di alzarsi e uscire, bussare e chiedere, il buon Giacomino. Lui stava seduto e leggeva, perché in fondo era anche un po' pigro. E ogni tanto alzava lo sguardo così, di nascosto a se stesso, e guardava le cose.

Certo avrete capito che il buon Giacomino era timido. Aveva una gran paura di parlare con la gente, soprattutto quelli della sua età, perché aveva gli occhiali spessi, un po' di gobba, si capiva che era un secchione. Qualche volta pronunciava male le parole, per la fretta e l'emozione, e allora non lo capivano e lui sentiva di avere le orecchie rossissime per la vergogna. Perciò spesso stava zitto e ascoltava soltanto, come si fa coi libri, che raccontano e basta e neanche ti chiedono come ti chiami. Eppure il buon Giacomino ci provava a parlare. Aveva le sue idee, forse non le migliori, ma erano sue, e non sempre si trovava d'accordo con la gente che sentiva discutere. Ma ogni volta che ci provava, il povero Giacomino non sapeva come fare, non riusciva mai a capire quale fosse il momento giusto, e si meravigliava del tempismo con cui gli altri riuscivano ad alternarsi nel prendere la parola. Gli veniva in mente di alzare la mano come a scuola, poi ci pensava su, si sentiva stupido, e si rassegnava ad ascoltare come sempre. Forse era per questo che gli piaceva tanto quella canzone quando diceva “tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”, e se l'ascoltava gli batteva forte il cuore e gli veniva da piangere.

Un giorno Giacomino stava andando a fare la spesa al supermercato. Davanti l'entrata c'era un parcheggio, e tutto attorno al parcheggio c'erano tanti cipressi, fiori ed erbette. Appena giunse sul limitare dello spiazzo Giacomino vide una bimba cadere a terra mentre correva. La soccorse, le sciacquò il ginocchio sporco di terra e di sangue a una fontana pubblica. Poi le comprò dei cerotti, la disinfettò, gliene mise uno e le regalò gli altri. Qualche giorno dopo tornò a fare la spesa nello stesso supermercato, e quando uscì carico di buste rivide quella bimba correre e cantare, con il cerotto ancora al ginocchio. Avvicinandosi la ammonì di smettere di correre, se non voleva ancora farsi male. La bambina si fermò, lo guardò, lo riconobbe. Sorrise e riprese a correre, stavolta verso gli alberi. Giacomino scosse la testa e continuò ad attraversare il parcheggio, diretto a casa. La bimba, però, fu subito di ritorno e Giacomino s'accorse che portava fra le dita una splendida margherita. Senza dir nulla, la bimba gli si appressò e gli infilò la margherita in una delle buste, sorridendo. Giacomino la ringraziò con un riso leggero e tornò a casa. Poggiate le buste su due sedie, cercò e trovò il fiore e lo accarezzò, ammirandolo. Provò a farlo vivere il più a lungo possibile, ed era contentissimo di poterserlo guardare tutte le mattine in cucina, mentre faceva colazione. Ben presto, però, la margherita iniziò ad appassire e Giacomino decise che sarebbe diventata il suo segnalibro: così si sarebbe ricordato spesso del bel gesto della bambina e magari sarebbe andato a trovarla ancora nel parcheggio del supermercato.

Non si curò più di trovare il posto dove comprare la carne, quello dove prendere i biscotti e il pane o quello dove risparmiare sugli yogurt, e anzi cominciò a frequentare solo quel supermercato dove aveva incontrato la bambina. Aveva in mente di chiederle come si chiamasse e di farsi raccontare quanti anni avesse e che scuola facesse, quale fosse la sua materia preferita e chi fosse la sua migliore amica. E poi voleva regalarle un altro fiore, magari uno di quei bellissimi gigli arancioni che crescevano nel giardino dei suoi vicini e che avrebbe persino rubato per lei. Ma la bambina non si fece più vedere. Passarono settimane e poi mesi, e Giacomino soffriva sempre di più quel non poterla reincontrare, e si chiedeva che fine avesse fatto, se si fosse fatta male ancora correndo, se si fosse trasferita in un'altra città, se fosse morta o viva.

Giacomino iniziò a maledirsi per non averle chiesto subito il suo nome, per non essersi messo in condizione di rintracciarla, adesso che si sentiva più solo che mai. Col tempo, però, Giacomino ebbe modo di riflettere tanto, e comprese che quell'esperienza gli doveva servire da lezione. Capì che talvolta in un gesto può esserci più che in tutti i libri che si possono leggere, e che quando succede una cosa bella bisogna scoprire come si chiama per poterla cercare ancora. Così il buon Giacomino non la smise più di chiedere i nomi delle persone, e poi imparò anche a chiedere di cosa si interessassero e quale fosse il loro colore preferito, se credessero negli alieni e tanti altri dettagli appassionanti. E quando poteva, regalava un giglio arancione alle persone a cui voleva bene. Dopo un po' fu costretto a comprarlo, perché il vicino si accorse che glieli rubava e andò su tutte le furie. Certo non smise di leggere, e anzi scoprì che alcune persone erano molto colpite dalla sua grande capacità di avere opinioni intelligenti e che molte di loro ne possedevano a loro volta, e scambiarsele era molto entusiasmante. Né si può dire che abbia conosciuto solo persone gentili come quella bambina, ma fu contento quando si rese conto che non era poi una così gran disgrazia, dal momento che in questo modo apprezzava ancora di più chi lo trattava bene. Comprese che il mondo non è come lo descrive la televisione, e che i libri non riescono sempre a dirti tutto quello che c'è da dire, e infine che tutti quanti, anche se non sembra, sono un po' timidi come lui e hanno tanta paura di sbagliare.

Tenne per sempre quella vecchia margherita come segnalibro e ogni tanto pensò, tenendola fra le dita come aveva fatto una volta una bambina, che se non era riuscito a conoscere la persona che gli aveva cambiato la vita in quel modo, allora c'era davvero tanto ancora da scoprire e non se ne sarebbe mai stancato.


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