
Indugiare sui testi di Prezzolini è spesso un buon antidoto alla martellante protervia dello sproloquiare odierno. La ritrosia nei confronti di qualsiasi concessione alla pratica del luogo comune viene qui espressa in un linguaggio asciutto e al contempo riecheggiante qualcosa di sepolto. L'autore si compiace di aver capito molto, ma ci tiene a ricordare di non aver capito tutto. Interessanti le ricostruzioni storiche, in particolare quelle realtive alla figura di Galielo, in cui si da notizia del suo non essere stato in realtà candido eroe del libero pensiero, e quella di Machiavelli, di cui si offre una lettura originale e sorprendentemente arguta. Il risultato finale consta di un'epitome in cui molto di essenziale, relativamente ai 600 anni di storia d'Italia ammassati e presi in esame, ha il merito di non essere taciuto. In particolar modo stimolante analizzare la capacità di Prezzolini nel suo riuscire a passare repentinamente e in maniera affatto artificiosa, dall'immediatezza dell'aneddoto, del particolare a teorie di carattere generale. A volte sembra quasi che queste siano giustificate a posteriori, ma appare ancora più evidente quanto alla base del metodo sopraindicato risieda una saggia meticolosità storiografica, e soprattutto una cuorisità vorace, sapientemente orientata nello sgorgare addosso al lettore quasi per contatto. Comunque il punto è che si cerca di dare ragione di quanto l'illustre storia d'Italia sia stata complesso ricettacolo di vizi(costanti nel proprio manifestarsi storico) e virtù(a volte sopite) immutabili. Gli Italiani, in tutta la loro essenza di coacervo umano anarchico, devoti nei confronti delle capacità eccezionali del singolo individuo piuttosto che all'imperativo morale veicolato dalle leggi, facilmente seducibili dal fascino indiscreto del formalismo e della fioritura linguistica, dannatamente incapaci di creare uno Stato sotto cui trovare riparo come comunità di individui e per questo(non certo per una mitologica quanto falsa mancanza di coraggio)poco efficaci nell'arte del fare la guerra, esterofili per campanilismo e conseguente necessità di non darla vinta al vicino di casa, dunque indulgenti nei confronti delle mode che attecchiscono oltreconfine e che ogni volta, inevitabilmente, si traducono in uno scopiazzamento manieristico del già fatto(come il Barocco,come il Romanticismo,come il Risorgimento in cui non c'è nulla di specificatamente italiano). In questo Prezzolini crea una sua metafisica partendo dall'immanenza dei prodotti della Storia, la storia dei popoli, che in una sorta di eterno ritorno degli eventi si arrovellano sempre intorno alle solite, ultrasecolari, nodose questioni. In tutto ciò si ammette un'azione umana libera dall'intervento di Dio, ma incapace di andare contro la natura, la propria. E la volontà di scagliarvisi contro? Crea disastri, e comunque rimane qualcosa che ha più a che fare con la devianza rispetto alla propria atavica, inalterabile collocazione all'interno del flusso della Storia.
Giuseppe Prezzolini
L' Italia finisce. Ecco quel che resta (Titolo originale: The legacy of Italy)
Rusconi Libri, Milano, 1994, 288 p.
Traduzione di Emma Detti
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