
Chiuse la porta alle sue spalle. Il suo volto venne colpito dalla luce del locale, dall’acre fumo, da uno strano odore dolciastro, forse, profumo femminile, forse cipria. L’orchestrina jazz riscaldava allegramente quella piovosa sera, quasi facendo dimenticare ai clienti lo squallore che si trovava oltre quella porta. Ma forse è proprio quello l’unico reale scopo della musica. Così lei, attirata dalla musica, dalle luci che esplodevano dalle finestre, era entrata, sperando di trovare un riparo dalla pioggia e da tutti i suoi dolori. Diede al cameriere il soprabito bagnato e si accomodò ad un tavolo. Lì era tutto caldo ed accogliente. Le persone parlavano fra loro a bassa voce, i camerieri erano gentili, i musicisti suonavano la musica jazz più dolce. Ordinò un whisky. I pensieri scorrevano veloci fra quelle note. Cominciò a far oscillare il bicchiere, ballava il ghiaccio. Il vetro era freddo. E lei aveva tanta voglia di piangere. Tirò fuori dalla borsa il portasigarette d’argento. Si ricordava di quel pomeriggio, un mercoledì, aveva un terribile mal di testa, la stessa Billie Holiday , il fruscio del giradischi, lui e la lettera, ritornerai?, piangerò, sarà terribile stare senza te, e i miei studi, scivola via la mia vita, ho perso l’entusiasmo. In quel periodo fiorivano i papaveri. Erano andati a contarli. Che infantili… Ma loro non pensavano che a loro stessi. Già. I papaveri erano migliaia, persi fra i loro baci. Sapeva di averlo perso, sapeva di non possederlo realmente. Lei, con il suo quadernetto. Il vestito con i fiori rosso che faceva intravedere le forme. Lo sguardo di lui perso in quella scollatura. E vi immaginava un universo parallelo, due scollature, e la sua mano, lì, sospesa. E lui, lì, che vi si perdeva. I capelli morbidi di lei attraversati dal vento, pensieri di donne vittoriane. E quel caldo accecante, da lontano la voce della cantante sussurrava la sua solitudine. Mia madre mi starà sicuramente cercando. Ti andrebbero delle fragole? Forse preferiresti delle ciliegie? E il vento che rubava sospiri di piacere. Oggi mi ha scritto una lettera. Forse diventerà mia amica. Mi sembri distratto. Cosa ti succede? Non sarai mica geloso del suo regalo.. se non fosse stato per mio padre, non l’avrei neppure accettato. Mi gira la testa. Non starmi così vicina, il tuo odore mi soffoca. E come il vento, la sua anima improvvisamente cambiò direzione. Non canterò mai per te. Prese la sua valigia. Ritornerai? Non mentirmi. E’ solo uno stupido giorno di maggio, come puoi credere che non ti dimenticherò. Forse ti scriverò. Se vedi una rosa regalamela. Tutto questo in quel whisky, scivolando sul ghiaccio i suoi pensieri erano liberi fra quel liquido dorato. Aveva voglia di scrivere. Tirò fuori il quadernetto di pelle. La musica era dolce. Poi improvvisamente arrivarono altri musicisti. Le persone cominciarono a ballare. L’odore di cipria si era fatto sempre più forte. Lei continuava a scrivere, cercando di calmarsi, ogni tanto accarezzava il portasigarette. Incise le sue iniziali. Faceva caldo in quel locale. Le guance le si erano arrossate. Un uomo dalla voce deliziosamente sensuale cantava It’s only a paper moon. E lei scriveva specchiandosi in quel vetro bagnato, in quel ghiaccio ormai sciolto. Ma non era realmente cosciente di quello che scriveva. Seguiva le note del pianoforte, la caduta delle gocce lungo il bicchiere. Notò che le era quasi venuta voglia di ballare lungo rue 66. E ricordava le rose. Quelle sensualissime rose. Vide una ragazza dai capelli castano chiaro che indossava un vestitino verde, le ricordava una donna di Burne Jones. Si alzò, abbandonò il porta sigarette e il bicchiere ancora pieno e le chiese di ballare. La ragazza la guardo con due occhi verdi enormi, quasi infranti nella loro bellezza, sembrava dovesse cominciare a piangere da un momento all’altro. Erano proprio così i suoi occhi. Avrebbe scritto di lei una volta al tavolo. Quello sarebbe stato il suo pensiero felice per la serata. La ragazza dagli occhi infranti allungò la mano, accettando l’invito. Le due donne cominciarono a ballare, sorridendo, felici, divertendosi di quella particolare situazione. Tutti le guardavano. Certo la ragazza dagli occhi infranti era indiscutibilmente la più bella delle due, ma il corpo dell’altra si muoveva con una tale spontaneità. I vestiti leggeri si incrociavano. I capelli erano morbidi, in quella sfrenata fusione di colori. Quelli della ragazza dagli occhi infranti sembravano quasi dorati, rispetto a quelli scuri dell’altra ragazza. Tutti le guardavano. Le loro risate, sovrastavano la tromba. Alla fine della terza canzone, i due corpi, accaldati, si separarono. Gli occhi della ragazza sembravano quasi di un verde ancora più intenso, le lacrime sospese erano ancora lì. Ritornò al suo tavolo dopo aver stretto dolcemente, per l’ultima volta, la morbida ed esile mano della ballerina appena conquistata. Cominciò a scrivere di lei, di quando fosse bella. Inventò una storia sui suoi capelli morbidi, la fece finalmente piangere. La serata le era sembrata così piacevole che non esitò ad attardarsi. Tanto non c’era proprio nessuno che l’aspettava. Quella sera si sentiva libera. Forse avrebbe regalato un uccellino di carta alla ragazza. Forse. In realtà non voleva rovinare quell’incontro. I piedi le dolevano un po’. Aveva proprio bisogno di passare una serata come quella. Il viaggio in nave era stato veramente molto lungo. Ma adesso la pioggia era finita, adesso lei aveva voglia di scrivere, di ascoltare quella musica di dimenticarsi di chi continuava a dimenticarsi di lei. Un’inutile canzone sull’amore. Tutti ridevano per le parole infantili e per i modi strani del cantante. Aveva sperato fino all’ultimo, quel giorno, di poter stare con lui. Invece i suoi impegni erano sempre così numerosi. Lei veniva progressivamente esclusa dalla sua vita. Ma quel giorno si era riproposta di fare lo stesso. Aveva preso la decisione di partire, di fuggire da lui, fuggire dalla ragazza che era stata, fuggire da tutto ciò che le ricordava quelle sue mani insistenti, quegli occhi silenziosi e misteriosi. Ormai rimanevano poche persone nel locale, ordinò un gelato alla fragola, non aveva avuto modo di cenare, quella sera. Mangiando si trovò a fissare le persone nel locale. La ragazza di prima era già uscita. Ma nessuno attirava la sua attenzione. Poi si accorse che la stava fissando, fra una nota e l’altra. Il pianista. Abbassò lo sguardo. Finì il suo gelato e riprese a scrivere. Ormai erano diverse ore che si trovava lì. Cominciò a pensare a quando non riusciva a resistere più di due giorni senza vederlo. E invece il viaggio era servito per farle capire che poteva vivere anche da sola, senza di lui. Era libera dal sentimento che provava nei suoi confronti. Si sentiva libera. Aveva scoperto nuove emozioni che prima non conosceva. Aveva un nuovo sorriso, scriveva molto di più e il suo volto era più rilassato. Se non fosse stato per sua sorella, quel giorno non avrebbe riscoperto il gusto delle lacrime. Senti, devo dirti una cosa, devo dirtela io. Tornava a casa dopo una serata in quel locale per debuttanti. Era tardi… E’ morto, non è vero? Sì. Silenzio fra quelle due donne. Poi la pioggia, e i rimorsi per aver detto la parola sbagliata, quel giorno. Lacrime per tutto quello che avrebbe voluto dirgli. L’unica cosa che le rimaneva di lui era quello stupido portasigarette d’argento. - Me ne offrirebbe una? - Come, scusi? Il pianista si era avvicinato. Gli occhi erano sinceramente allegri. - Mi scusi se le sembrerò sfacciato, ma la serata è stata lunga e una sigaretta ci vuole proprio. - Certo, ne prendi anche due, tanto io non fumo. Si sieda, se vuole. - Grazie. Prese le sigarette. Ne mise una nel taschino della camicia. L’altra l’accese. Passarono alcuni secondi. Poi la guardò intensamente. Le sorrise. - E’ rimasta qui tutta la sera. Non avrà mica aspettato qualcuno che poi non è venuto, perché allora stava aspettando uno sciocco. Lei non dovrebbe mai aspettare nessuno. - Non sia troppo gentile, potrei credere alle sue parole - Ma io… La ragazza cominciò a ridere. - Era bellissima mentre ballava, sarei venuto da lei volentieri, ma sa, i musicisti suonano soltanto, a loro non è permesso ballare. - Perché mi fissava, prima? - Perché volevo riuscire a parlarle. Ero terrorizzato dall’idea che potesse andarsene da un momento all’altro. - Non ho voglia di andare a casa. - Ha forse litigato con qualcuno? - Con la notte, con la pioggia, con le lenzuola della camera d’albergo. Ho litigato con questa giornata. Questa stupida giornata. Lui continuava a fissarla, attento. La stava, forse ascoltando, ascoltando veramente? Lei si fermò a fissarlo. Sembrava stanco. Ma nonostante tutto era lì, con lei. - Hai voglia di fare una passeggiata con me? Forse ha smesso di piovere. Potremmo contare i lampioni, e magari aspettare l’alba. Quella frase l’avrebbe potuta dire lei. Sorrise.
1 commenti:
:-) veramente emozionante
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