2010-08-29

La ragazza senza colore

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C'era una volta una ragazza minuta e fine, con i gomiti tondi e i capelli arricciati, gli occhioni bianchi e la bocca gigantesca.
Questa ragazza era nata senza un colore.

Pur avendo desiderato per tutta l'infanzia un bel colore per risplendere trionfalmente e eternamente dinanzi al mondo, non era riuscita a dare un calore alla propria forma che continuava ad apparire come una triste figura dai contorni rarefatti.
Un giorno, un verde – un bel verde – passò accanto a lei, e la triste ragazza bianca e dai contorni rarefatti, stanca della sua vita di costernazione e disprezzo, decise di seguire il verde per le strade della vita, divenendo verde anch'essa. Essere verde fu la cosa più bella che avrebbe mai potuto desiderare: tutti la salutavano quando la incontravano, qualcuno scambiava qualche parola con lei, un'affettuosità, un vezzeggiamento, “oh, ma che bel verde!”, e lei era contenta perché in fondo, pur non capendo come funzionasse quella cosa del verde, era bella che colorata. Era colorata e tutti la salutavano.
Un giorno, però, il verde, stanco di essere seguito dalla creaturina minuta e fine, dai gomiti così tondi che sembravano palle di gomma, decise di cambiare rapidamente strada, lasciandola nel bel mezzo del bizzarro cammino della vita e facendola divenire di nuovo bianca.
La cosa intristì parecchio la ragazza, così minuta e fine da sembrare una bella linea spessa, poiché perdendo il colore aveva perso nuovamente l'interesse della gente, che non la salutava più, non le diceva niente quando la incontrava per sbaglio, nessun complimento, “oh, devo andare”, “oh, non ho tempo”.
Fortuna volle che, in quel momento passasse un rosso dalla stessa strada, e la ragazza minuta e fine, così fine che ogni passo minacciava di spezzarle la spina dorsale, decise di copiare il rosso come aveva fatto col verde, riconquistando quella considerazione perduta che la faceva sentire così bella e importante, intelligente e acuta, e divertente, e imprevedibile, e “oh, ma quello è un rosso?”, “sì, non vedi?”, “oh, ma è bellissimo”, e giù di complimenti, giù di vezzeggiamenti, e la ragazza era molto felice d'essere rossa. Era rossa e tutti la salutavano.
Passò qualche tempo e la storia tornò a ripetersi senza appello, facendo sprofondare la ragazza – dagli occhi così bianchi e lattiginosi da sembrare due astri satinati – nella solita melanconia.
Non sapendo cosa fare, iniziò a seguire altri colori: un blu, un giallo, un nero, un fucsia, un ecru, un marrone, balzando negli stessi anelati splendori d'un tempo e precipitando negli stessi oscuri baratri che il sempre ugual esito ricreava.
Stanca di non avere un colore, fermò per strada un simpatico arancione e gli chiese che cosa avesse che non funzionava.
– Cara la mia ragazza dalla bocca così grande da produrre formidabili e melodiosi echi – disse l'amabile arancione – se non riesci ad avere un colore, sarà che forse sei vuota dentro?
La ragazza lo osservò con rabbia e livore: – Come osi dire che io sono vuota dentro? Io sono il più lucente astro del cielo e ho avuto tanti colori che non ricordo! Una volta sono stata persino rossa!
L'arancione rise sommessamente, coprendosi il volto con la manina paffuta e colorata.
– Oh, puoi aver avuto un colore una volta, ma quel che sei è solo un riflesso, il riverbero di un colore che già esiste. Di tuo, c'è ben poco da esistere. Sei solo il contorno di una ragazza minuta e fine. – spiegò l'interlocutore, col suo parco tono di voce.
– E sentiamo, cosa dovrei fare per aver un colore? – chiese con un filo di ostentazione.
– Puoi smetterla di seguire gli altri colori, smetterla di ambire ad essere l'astro più lucente, imparare dagli altri colori ed essere te stessa. Se tutto andrà bene, ogni rosso, blu e verde ti donerà un po' di se e tu potrai diventare un colore tutto tuo.
– E come si fa? – ribatté la ragazza disorientata.
– Se tu non lo sai già, non posso spiegartelo. – concluse il faceto arancione, che però adesso s'era fatto scuro in viso perché aveva pietà della povera ragazza dai capelli così ricci da sembrare rovi.
La ragazza cadde nel silenzio. Avrebbe voluto pensare a qualcosa, ma da sempre i pensieri che avevano vagato nella sua testa non erano suoi, e per un attimo si maledì per aver seguito così incautamente tutti quei colori, d'essere stata arrogante, d'aver giocato quando bisognava imparare, e d'essersi distratta quando bisognava ascoltare.
– Se non riuscirai ad avere un colore, potrai recarti al Cimitero dei Senza Colore: si trova più in là, ci sta tanta gente, – aggiunse l'ironico arancione, e il suo sguardo fu pieno di dolcissima pietà.
– E come ci si arriva? – domandò l'altra, maledicendosi subito per averlo chiesto.
In cuor suo, non aveva alcuna voglia di sapere il luogo di quel cimitero, né apprendere la strada migliore per raggiungerlo. Non aveva alcun animo per cambiare se stessa e la paura di scoprire che la sua esistenza era sbagliata la fece tremare tutta.
L'arancione, che scrutando negli occhi incolori della ragazza aveva compreso il suo stato d'animo, non aggiunse nulla, e sospirò quando la vide scostarsi, stanca e sconsolata, per avvicinarsi a un triste grigio che transitava proprio di lì, in quell'istante.
Così, senza fare ulteriori domande, e negando ogni commiato al povero arancione, che nel frattempo aveva perso la sua sollecita vivacità, la ragazza sparì, seguendo il triste grigio e accontentandosi di quel vuoto senza colore, che la faceva apparire ma non esistere, e la rendeva, soprattutto, felice di non pensare alla propria condizione.
L'arancione la commiserò in silenzio. Avrebbe voluto davvero far qualcosa per lei, ma ancora una volta era cozzato contro la dura realtà dell'indolenza al cambiamento, poiché ciò che nasce senza un colore, muore senza un colore.
– Ci arriverai perché ti ci porteranno... – concluse rammaricato, incamminandosi per la strada che più preferiva, seguendo il sussurro di un fil di vento, mentre la flebile ragazza, che sarebbe saltata da un colore all'altro senza mai averne uno suo, trascinava il suo destino verso il Cimitero dei Senza Colore, dove avrebbe trovato la fine. Sarebbe scomparsa come una goccia nel mare, senza lasciare alcuna traccia che pochi tratti di matita vergati in un vuoto scuro e triste che, come lei, era senza un colore.