
"Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira."
Scrutando di là dai vetri della finestra, sulla strada, mi adagiavo con lo sguardo sui giocattoli vivacemente colorati dei venditori ambulanti, lasciati a terra a riscuotere applausi e afflati dei bambini, piroettando e colmando l'aria di una congerie confusa di cantilene di una giocondità garrula e irrequieta.
Afferrai le chiavi e uscii. Appena messo il piede fuori dalla porta, fui sommerso dall'intenso odore della pioggia recente e dall'umido calpestio dei turisti che affollavano, per dritto e per converso, la via del centro storico, tutta volte, portici, colonne, ascensione spirituale e sensuale tensione. A contornare il flusso mutevole dei visitatori erano i vu cumprà, sempre gli stessi, i visi sbiaditi e spenti da una schiavitù secolare, e gl'incravattati e sempreverdi affabulatori delle boutique, perpetua evidenza epifanica della mediocrità della razza umana.
Ognuno una propria lingua: questo una sequela di colpi di laringe e vocali chiuse, un altro mille vocali diverse ed una passione per le nasali, un altro ancora lascia le frasi a metà, mentre i più fiduciosi gesticolano ad ampie volute con toni da panegirico. Il cancro del tempo moderno: una Babele rinnovata, una bestemmia strillata in infiniti idiomi differenti, ciascuno a maledire il proprio Dio perché “no, non era così che ce lo aspettavamo il mondo”.
Camminai di fretta a testa alta, scavandomi varchi in mezzo a una selva di mani sudate e nasi rivolti alle vetrine. Affondai in una stradina secondaria, prendendo finalmente respiro. Procedendo sempre a passo svelto mi guardavo attorno, ma nessuna novità: i soliti sorrisi dei politicanti stampati sul muro, vecchi delle vecchie elezioni, nuovi delle nuove Assunzioni al cielo delle Madonne e dei Santi da pregare per avere un “posto di lavoro”. “Non avrei mai pensato che si sarebbe finiti a pregare qualcuno per lavorare, come se fosse una cosa piacevole”, bestemmiavo anch'io, nella mia lingua, fra me e me.
Giunto in un piccolo parco, qualche siepe di bosso e due cipressi nel mezzo della città, mi sedetti su una delle due panchine, osservando le nuvole di cenere rincorrersi e spingersi trainate dal vento.
Rilassati gli arti ancora pulsanti, sprofondai il capo fra le mani, in atto di considerare l'Essere e i suoi predicati, la vita, la morte, Dio e i camposanti. Fui ridestato dal principiare della melodia lenta e malinconica di uno xilofono, accarezzato da un uomo anziano sul bordo opposto della strada. La riconoscevo: la “Sonata al chiaro di luna” di Beethoven.
L'uomo mi fissava con due occhi lucidi ed aveva capelli e barba sale e pepe, mentre le sue mani bacchettavano a memoria sui tasti. Pensavo che anch'io, prima o poi, avrei voluto essere un anziano xilofonista dagli occhi lucidi e, perché no?, suonare per qualche minuto all'aria aperta. Suonare, nonostante tutto.
L'uomo mi fissava con due occhi lucidi ed aveva capelli e barba sale e pepe, mentre l'aria si faceva più fresca e le luci delle lanterne più bianche. “Chissà dov'è, adesso, la luna, sepolta da quell'esercito di nuvole?”, mi chiedevo. “Starà ascoltando anche lei?”
Passò un ragazzo in bicicletta, pedalò, poi una donna rosso-vestita, cambiò la melodia.
L'uomo mi fissava con due occhi lucidi ed aveva capelli e barba sale e pepe, mentre la gente passava e la melodia cambiava. Quanti uomini e donne mi pareva di aver visto! In fondo, però, l'impressione era sempre uguale: monadi, isole, innumerevoli solitudini, anche e proprio quando cantavano insieme. Infine non si vive se non se stessi.
Eppure quell'uomo anziano viveva anche me, guardandomi, ed ero convinto che vivesse anche la luna, lassù, dietro le nuvole, e le nuvole stesse, e il vento e l'aria e le luci.
L'uomo mi fissava con due occhi lucidi ed aveva capelli e barba sale e pepe, la pioggia riprese a palpitare.